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Accentratore, sprezzante coi rivali, considera gli alleati orpelli. Il Matteo "uomo solo al comando" può essere fatale all'Italia.

Renzi

 

Che cosa farà Matteo Renzi nell’anno appena iniziato? È una domanda inevitabile per chi ritiene ancora che la politica sia sempre la sede primaria per il governo di un Paese. E che tutto quanto accade, crisi economica, disperazione sociale, violenza di pochi capace di contagiare molti, sia come un fiume ribollente e pericoloso che soltanto i partiti possono arginare e convogliare su un percorso ordinato. 

Ma i nostri partiti, entità che vengono da lontano con l’unica eccezione dei Cinque stelle, sembrano sottovalutare il nuovo protagonista della politica italiana. Lo sottovaluta la destra, sempre aggrappata al sogno di rivincita di un capo ormai al tramonto e senza eredi, Silvio Berlusconi. E lo stesso errore fanno le sinistre, a cominciare da quelle raccolte sotto la bandiera del Partito Democratico. 

Le sinistre non si rendono conto di un fatto che pure sta sotto gli occhi di tutti: il meccanismo delle primarie ha affidato il comando di quell’area a un personaggio restìo a osservare le regole dei post comunisti e dei post democristiani. E che farà penare il gruppo dirigente democratico perché si comporterà come un leader dal potere assoluto, quasi un dittatore. 

So bene che dire “dittatore” significa usare una parola pesante e pericolosa. Ma se osservo le prime mosse di Renzi e leggo quanto sostiene nelle interviste più esaurienti, l’impressione che ne ricavo è di avere di fronte un capo molto diverso da tutti quelli che abbiamo visto sulla scena negli ultimi anni. E adesso tenterò di tracciare un identikit del Renzi che incontreremo di continuo in questo 2014, 

Per cominciare, è probabile che Matteo sia convinto che la politica di una nazione vada guidata da un uomo solo. Non è stato l’unico a pensarla così. Anche  Berlusconi si è lasciato afferrare dalla medesima suggestione. Ma era troppo anziano per attuarla e si portava sulle spalle un peso eccessivo di questioni personali non risolte. A cominciare dal comportamento privato, un intralcio pericoloso in una società dove la privacy non esiste più e tutto diventa pubblico. 

Renzi è ben più giovane di Berlusconi, 38 anni contro 77, e non ha un bagaglio pesante che può rendergli difficile il cammino. Da uomo solo al comando, andrà avanti a colpi di ariete e non accetterà nessuna mediazione. Si comporterà cosi anche nei confronti del proprio partito. Lo renderà uno strumento al suo servizio, non  permetterà ribellioni, sarà persino pronto a spaccarlo pur di non essere imprigionato  dalle vecchie sinistre. 

Come si comporta un aspirante dittatore? Considera gli alleati come la sussistenza di un esercito che segue il comandante in capo. E deve soltanto servirlo, senza metter bocca nelle sue decisioni. Il giorno che Renzi diventerà il presidente del Consiglio, il traguardo vero e tanto cercato, se la vedranno brutta i partiti che lo sorreggono, ammesso che ne abbia bisogno. A Palazzo Chigi avranno a disposizione soltanto degli strapuntini e nessuna poltrona importante. 

Del resto Renzi fa di tutto per distinguersi dai possibili alleati. Tanto da lasciar pensare che li disprezzi. È un’ipotesi a vanvera? Per niente. Mi ha colpito l’intervista che il segretario del Pd ha rilasciato alla Stampa alla fine del 2013. Pubblicata il 29 dicembre, era firmata da un giornalista impeccabile, Federico Geremicca, non abituato a colorare i toni di un colloquio e a distorcere le parole dell’intervistato. 

Bene, in quell’incontro Renzi si è rivelato sprezzante nei confronti dei due leader che guidano l’esecutivo. Ha detto: «Enrico Letta è stato portato al governo anni fa da D’Alema che io ho combattuto e combatto in modo trasparente. Angelino Alfano al governo ce l’ha messo Berlusconi, quando io non ero ancora nemmeno sindaco di Firenze». 

Morale della favola? Renzi ce la presenta così: «È vero che Letta e Alfano provengono da una generazione più giovane di quella che li ha preceduti, ma io non voglio assolutamente essere accomunato a loro. Io sono totalmente diverso, per tanti motivi. E uno di questi motivi, in particolare, non può essere sottovalutato: io ho ricevuto un mandato popolare, da tre milioni di persone che mi hanno votato perché hanno condiviso quel che ho promesso e che avrei poi fatto». 

Un errore dettato dalla presunzione? Oppure soltanto una scortesia lessicale? La sensazione è che Renzi faccia di tutto per sottrarsi a una storia che pure è anche la sua, in quanto ex democristiano cresciuto nella Margherita. Niente diplomazia, niente sorrisi, niente accordi con nessuno della Casta. 

Il sindaco di Firenze è un politico astuto. Sa che molti degli elettori alle primarie lo hanno votato perché si presentava come il rottamatore della vecchia sinistra. E per la verità questa sinistra meritava di essere sconfitta, visto che non aveva saputo contrapporgli nessun candidato del suo livello. Si è inventata soltanto due figure rispettabili, come Gianni Cuperlo e Pippo Civati. Però erano due pesi mosca inadatti a battersi con il peso massimo arrivato dalla Toscana. 

Ma il tramonto di una vecchia casta non evita il sorgere di una casta nuova. Il pericolo che incombe su Renzi è quello di diventare il numero uno di un cerchio magico non dissimile da quello in disarmo. Le sue interviste ci mostrano un politico che si ritiene superiore a tutti i concorrenti. E dunque autorizzato a immaginare scenari che coinvolgono altri aspiranti dittatori, come Beppe Grillo, il duce stellare. 

Tuttavia contro l’invincibile Renzi giocano dei fattori che di certo lui ha considerato. Il primo è che non si può vincere tutte le volte, talora si pareggia o, peggio ancora, si perde. Il secondo sono le condizioni pesanti dell’Italia, un Paese che non può permettersi avventure rischiose. Per esempio, la caduta del governo Letta-Alfano e nuove elezioni, sempre possibili nonostante la saggia tenacia di un capo dello Stato come Giorgio Napolitano, un baluardo contro il caos istituzionale. 

Il terzo fattore contrario è l’inesperienza del nuovo gruppo dirigente che Renzi ha nominato subito dopo l’insediamento al vertice del Pd. Una segreteria di sette donne e sei uomini, età media di 35 anni. Tanti giovani in un colpo solo possono rivelarsi un azzardo. L’impressione è di una squadra  messa insieme con troppa fretta, per non smentire la leggenda di un Renzi leader politico veloce e decisionista rapido. L’opposto del politico tradizionale della Casta. 

L’unico vero uomo forte della segreteria è Luca Lotti, 31 anni, toscano di Montelupo Fiorentino, e di fatto il fratello minore di Renzi. Ha la responsabilità dell’organizzazione e stava già nella segreteria di Guglielmo Epifani come responsabile degli enti locali. Ha la fama di uomo duro che agisce e non parla. Dovremo osservare con cura il lavoro di questa coppia di politici che, a sentire Renzi, non vogliono avere nessun punto in comune con la sinistra che conosciamo. 

Un uomo solo al comando, affiancato da un amico fedele, può essere una fortuna in un Paese che si ritrova con un ceto politico capace appena di frantumarsi. Ma può diventare un rischio nel caso che, anche senza volerlo, l’uomo solo si tramuti in un aspirante dittatore. In Italia ne abbiamo già conosciuti e il risultato si è rivelato pessimo. Per questo motivo, Renzi deve stare molto attento. Nell’interesse del Paese e, diciamo la verità, anche nel suo. 


di Giampaolo Pansa
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